LA LUCCIOLA IMPERTINENTE

 

Nel cuore della grande isola di Gòngola, in mezzo all’Oceano Pacifico, cresceva un’immensa foresta primordiale, ovvero una foresta cresciuta milioni e milioni di anni fa, da allora rimasta immutata, con alberi enormi, dai tronchi grandi come case ed alti fino a toccare le nuvole.

 Piante e fiori d’ogni sorta si sviluppavano rigogliosi, facendo da rifugio ad uccelli variopinti e tante scimmie. Nel fitto della boscaglia, talmente fitto da essere scuro come la notte, persino nelle giornate di sole, vagavano lenti tapiri ed elefanti e sotto le rocce e le foglie secche strisciavano serpenti gialli con le fasce rosse, lucertole marroni a macchie viola ed altri rettili striati di verdi rombi. Vi erano ragni pelosi sul terreno e farfalle blu, ampie come le mani aperte. C’era persino un fiume in questa giungla incantata, un tortuoso corso d’acqua in cui guizzavano granchi rossi e pesciolini fluorescenti. Il fiume sfociava in un laghetto tondo e profondo. Nascosto dal folto della boscaglia, nessun uomo lo aveva mai esplorato. Questo luogo, acquatico e misterioso, ospitava nei propri abissi oscuri uno degli animali più magici e misteriosi che la nostra Madre Terra avesse mai conosciuto: un delfino rosa e gigantesco che, nonostante la grande mole, era davvero docile e mansueto.

Si, avete ben udito miei cari spettatori, era davvero rosa, completamente rosa, dalla coda alle pinne dorsali, dalla pancia al grosso testone gentile. Pochi animali fortunati del posto lo avevano visto, era una creatura schiva e timida e poi, già era difficilissimo trovare il laghetto nascosto nella giungla, per di più nel cuore verdissimo di un’isola nascosta e sperduta in mezzo al mare immenso, come avrebbero potuto ammirarlo gli animali di terre lontane?

 Se pure si fosse trovato quel luogo profondo, ci si sarebbe dovuti immergere nelle sue acque scure per diverse centinaia di metri, il che sarebbe stato davvero complicato anche per la bestia nuotatrice più audace ed avventurosa. Tuttavia, alcuni fortunati, di questo delfino avevano udito il canto: una sorta di fischio leggero che dalle immense profondità giungeva fino a riva, fino alle spiaggette dalla sabbia giallo tenue e delicata che lambivano gli orli del lago, in cui sostavano sovente gli uccelli d’acqua ed i mammiferi assetati. Il suo canto speciale di lì si poteva sentire, ed era particolare, stridulo ed ipnotico, come quello che ogni bimbo può far con la carta piegata tra le labbra in un luogo in cui ci sia eco.

Un fischio che risuonava dalla superficie fino ai tronchi degli alberi millenari, in un suono che lasciava tutti a bocca aperta, incantando chi ascoltava.

(Un giorno andrò anche io a visitare quel luogo, se non altro per quel verso soave del gran delfino rosa, e con un po’ di fortuna, chissà che non lo veda affiorare verso riva! )

 

 Nel mezzo della fitta boscaglia, impenetrabile anche al più astuto degli esploratori (e forse qualcuna o qualcuno tra voi, un giorno, sceglierà di diventarlo) vi era uno spiazzo d’erba, un prato rotondo e senz’alberi, costellato di piccoli fiori e fresca erbetta, una tregua dal bosco scuro, uno slargo in cui distendersi, illuminato dal sole di giorno e dalla luna pallida ed incandescente di notte, mentre tutt’intorno la foresta faceva da muro inaccessibile.

La luce penetrava poco e rendeva il lago piuttosto freddo. Nello spiazzo no, lì il sole batteva caldo ed impietoso e la luna rendeva le notti fluorescenti! Questo prato, se visto dall’alto, era un buco nella foresta, un buco di sole ed aria fresca in mezzo ad una massa densissima di alberoni secolari, strettamente attaccati l’uno all’altro.

Mettendosi al centro della radura, si potevano sentire i versi striduli provenienti dalla selva intorno, i garriti dei pappagalli e dei tucani, il gracidare delle raganelle e le urla degli oranghi arancioni: grossi e bonari scimmioni mangiatori di frutta, che, in quel verde paradiso di certo non mancava.

 

E’ in mezzo a questo prato baciato dal sole che comincia la nostra storia, è qui che riposa la nostra protagonista, non d’una fata si tratta, e neanche di una sirena o di una strega cattiva, ma di una noce. Si, miei cari, avete ben sentito: una noce, certo, perché anche una noce ha carattere e personalità, mica è solo un semplice ed inanimato involucro legnoso!

E’  giustappunto la storia di questa un po’ impaurita ed un po’ annoiata creatura che vi voglio raccontare.

La piccola noce giaceva immobile sotto la luce cocente del giorno e sotto il manto di un numero infinito di stelle nella  notte, senza mai muoversi, se non con le lievi vibrazioni che le concedeva il vento, lievi tremori portati dalla brezza marina lontana.

 Stava sconsolata, con la pioggia e con il sole, senza braccia e senza gambe, aveva gli occhi ed una piccola bocca per parlare, posta sul guscio color legno scuro.

 

NOCE :   “Uffa, che barba, son piccolina e tutta sola, senza amici per giocare ed ognun mi vuol pestare e scalciare e  pur mangiare!”

 

 

Spesso si avvicinavano uccelli giganteschi, con grandi zampe e piccole ali, abili più nella corsa che nel volo, che tentavano di divorarla, allora la noce indifesa tremava di paura:

 

UCCELLO:  “guarda qui che bocconcino”

             ora l’apro per benino e ne divoro il cuoricino”

 

La noce chiudeva gli occhietti per la paura, vedeva l’ombra del volatile offuscarle la luce del sole tutto intorno e percepiva il becco tremendo stringersi attorno a sé, si sentiva soffocare e stritolare, pensava di morire e si rassegnava abbandonandosi agli ultimi pensieri ed istanti della propria vita, si sentiva finita, spacciata!

eppure, un attimo dopo si trovava catapultata altrove, lanciata con forza, come fosse stata sputata via!

 

UCCELLO      “PUAH!  Che schifezza  questa noce, è più amara della pece e più dura della pietra d’un vulcano! La risputa anche il caimano! Corro via a cercar di meglio questa noce è solo abbaglio!”

 

NOCE:     “Oh che splendida giornata, anche oggi fortunata, la mia vita s’è salvata , questo mostro grande e grosso m’ha sputata come un osso!”

 

Non passavano 10 minuti che prontamente altre bestie arrivavano ad annusarla, dal bosco e dal torrente, dal cielo e da ogni ambiente, il cinghiale ed il tapiro, l’elefante ed il giaguaro, anche un topolino, passando di lì, pensò di farne un sol boccone.

Eppure, ogni volta si ripeteva la stessa storia: ogni animale di passaggio la sputava al primo  assaggio!

 

“MA che orrore questo seme, è una noce o del carbone? Tanto amara e non si spezza! Ma cos’è questa schifezza!?”

 

Insomma, a chi piacerebbe esser mangiati vivi?

Ogni volta che la noce salvava il proprio guiscio dagli animali affamati, sentiva impeti di gioia e d’entusiasmo!

“sono salva anche stavolta! che gioia,  che meraviglia,  oramai nessun mi piglia!”

 

 

Tuttavia, dentro di sé, nel profondo del suo cuore, che protetto dal guscio duro batteva, sensibile ed incessante, si sentiva anche un po’ triste, anzi, parecchio triste, immotivatamente triste! Eppure un motivo ad ogni cosa c’è sempre, anche se non ci par subito evidente!

 

Ma perché, direte voi, se nessuno l’ha mangiata e la vita si è salvata?

 

 

NOCE:  “Ed anche oggi sono sola, son senz’ali per volare né zampette per saltare, c’è qualcun che vuol giocare? Chi vorrà passar del tempo con un tale nocciolino, oh, che triste e che dolore è toccato al mio destino!”

Ed in più, se pur fossi gustosa, potrei almen per una volta farmi vanitosa, vantar qualche talento: sono dolce e saporita, invitante e anche squisita, ne potrei ben decantare di virtù da tramandare! Invece no, neanche quello, mi schifan tutti! m’han detto che sono amara pece e pur dura come cece!”

 

E mentre piangeva, la sorte, non contenta del destino riservato alla noce poveretta, le giocava scherzi ancor più atroci: spesso le arrivavano addosso tonnellate di cacca, si ragazzi miei, di cacca calda d’elefante, di quegli elefanti che neanche la notavano ma che espletavano il loro bisogni voluminosi nel mezzo del prato in cui andavano a trastullarsi sotto il sole. La notò solo un cucciolo di pachiderma, eppure neanche lui volle essere suo amico: dopo un paio di rotoloni lascò la noce sola come un lombrico.

 

S’avvicinò la notte, rapida ed oscura, notte ululante d’Equatore, stellata e misteriosa, cupa e tenebrosa! Occhi incandescenti nascosti tra i fitti rami e versi sconosciuti al mondo della luce quotidiana, si facevano eco tutto intorno!

E così, la poverina, ancora con una lacrima appesa, dal sonno fu sorpresa.

 

Fu quella notte che accade qualcosa di talmente incredibile e magico che la piccola noce credette davvero di sognare, ed invece no, stava accadendo davvero e tutto era reale!

S’era appena addormentata, sotto milioni di stelle,  quando vide una splendida luce fluorescente che le fece aprire gli occhi e raggelar dalla paura. Faceva fatica a tenere aperte le sue palpebre incerte, per via dell’intensità di quei raggi luminosi che non smettevan mai di vibrare, come alberi di natale!  credette si trattasse del sorgere del sole, come accadeva ogni giorno al mattino nella piccola radura, all’interno della foresta, quando l’astro fa capolino dietro gli alberi giganti e va il prato ad inondare!!! dunque pensò:

 

NOCE “Che succede in questo bosco? Mi son ora addormentata, già trascorsa è la nottata? chiudo gli occhi un attimino ed è subito mattino!?”

 

Ed invece no, altro che notte trascorsa veloce, s’era davvero appena addormentata e quella luce che vide non era affatto il sole! Era proprio notte fonda! Ehi! Ma che succede??

Stropicciò gli occhi come chi vuol conferma di quel che vede, incredula e sorpresa.

Per ben capire quel che accadeva strizzò le palpebre una volta ancora e poi un’altra ed un’altra ancora, e quando gli occhi furono ben aperti, per qualche minuto, non credette a quel che vide! Fu tanto grande la meraviglia nel vedere le luci in quel parapiglia!

Si, le luci, tante, tantissime luci.

 

Dopo aver tanto esitato si convinse di quella visione, tutto fu chiaro, era tutto reale, mai s’era visto un simile animale, non era di certo un sogno, in quella notte di Giugno :

un grosso insetto con la faccia simpatica, dal dorso color del cioccolato e le ali di una coccinella, un po’ più allungato, le volava intorno incuriosito, ma la cosa più assurda di quella creatura era il ventre, di sicuro!

 Aveva una panciotta luminosa e fluorescente, come se avesse ingoiato ogni lampadina esistente, come se fosse una stella ma solamente un po’ più gialla, un lampadario in miniatura che viveva e che pensava e che quando il sol sorgeva, un insetto come tanti diventava! E si cari ragazzi, eran proprio loro la fonte di quella luminosità inaspettata, è da lì che proveniva, dall’addome d’un insetto un po’ speciale ed espressivo!

Ad un tratto questo insetto prese subito a parlare:

 

LUCCIOLA: “TOH! Una pietra con gli occhi! Ma sai che sei proprio buffa! Grassottella e tutta tonda, io di te mi prendo beffa! Devo dir che sei un po’ brutta, non sei carne e manco frutta!”

 

La noce sentì il cuore incupirsi di tristezza, poverina, che amarezza! eppur provava ammirazione per quella specie di creazione, una fata luminosa, un po’ bulla, prepotente eppur così meravigliosa!

 

LUCCIOLA “IO SONO UNA LUCCIOLA, disse questa! Son il massimo dello splendore, m’addormento su ogni fiore, ogni notte sfido le stelle e mi confondo con le più belle! Svolazzo in cerchio e son gioiosa, nella foresta son luminosa!! Rido e canto senza pudore, a chi mi osserva scaldo il cuore! e tu, specie di pietrolina, cosa fai di bello dalla notte alla mattina? Qual è la tua virtù? Canti? Salti? O voli nel blu? Io credo che tu nulla sappia fare e non sei buona da mangiare!”

 

NOCE “Ma io, davvero..cioè, non so che…poi..”

 

E la noce pianse forte, avvilita per  l’offesa, agli insulti si era arresa!

 

LUCCIOLA “Ehi!! L’avete vista che bruttina? giace qui sera e mattina!!”

 

Fece la lucciola alle altre sue amiche che volavano tra il bosco e la radura e che insieme tutte quante parevano il firmamento, volando lucenti ad intermittenza tra i fiori e le foglie, aiutate dal vento! E non permise neanche alla piccola noce di esprimer sé stessa, insultandola ed interrompendo sempre il suo parlare, già compromesso dalla timidezza e da quel brutto modo di fare!

La lucciola, impertinente continuava ad infierire:

 

LUCCIOLA “Io non so chi mai sia tu, so che puzzi di puppù!”

 

Le lucciole tutte risero insieme, lasciando la noce alle sue pene! Ridevano tutte a squarciagola:

 

                 “guardate che brutta e neanche vola!”

 

Poi, come d’un colpo, spariron tutte in un sentiero

lasciando prato, bosco e noce nel buio più nero!

 

Accadde che tornarono spesso quelle lucciole dispettose e sprezzanti, ed ogni sera alla luna si mettevano davanti, ne oscuravano la candida chiarezza ed alla povera noce riservavano notti di tristezza

 

“ma sei davvero bruttarella, noce da bancarella!”

 

Le dicevano in coro

 

“non c’è davvero nulla che tu sappia fare

Se non, col tuo guscio ruvido, star ferma e riposare”

 

Questo le urlava qualcuna più piccola e distante.

 

Spesso le disturbavano il quieto dormire, facendo spegnere e riaccendere le luci convulsamente e tutte intorno, forte ed in modo insistente, come fossero le luminarie di una balera, il dispetto di ogni sera!

 La povera noce non sapeva davvero più che fare, triste, sconsolata e delusa rimaneva a guardare,

Ohi quante cose avrebbe voluto diventare, e dopo quelle notti s’accese ancor di più il desidero di cambiare

 

NOCE  “Oh grande fico, tu che mi guardi e non dici nulla, con la tua mole immensa a guardiano della foresta, beato te dalla chioma maestosa, che bello sarebbe se fossi anch’io così gloriosa!”

 

“O magari un cardellino, che vola e guarda da lontano e da vicino, dai colori variopinti, di giallo, nero e rosso fuoco, di lui nessun si prende gioco”

 

“o se fossi una tarantola grande e potente? In un sol boccone mangerei quella lucciola impertinente”

“o se fossi un elefante delle campagne: schiaccerei lei e le sue compagne”!

 

“invece sono qui, come un ghiro dormiente, mi prendono in giro, non ci posso far niente!

Ma forse han ragione, son poco attraente, questa mia vita non l’amo per niente”

 

Non si dava pace la noce poveretta, voleva a tutti i costi cambiar la propria situazione.

Non dormiva più serenamente, pensava spesso alle lucciole dispettose, ma anche ad altre creature che, meno arroganti, disprezzavano comunque la sua immobile condizione.

 

Giorni e notti erano oramai insonni ed un chiodo fisso le si piantò nella testolina, un pensiero solitario che oramai non le dava più pace: “sarò qualcos’altro, qualcosa di bello ed appetibile, oppure forte e pur temibile, insomma tutto ma non quel che sono: una triste, scura e rugosa noce in abbandono”

Pensava:

 

 

 

NOCE: “Per prima cosa dovrò andar via da questo posto, andrò via prima dell’imbrunire, prima che il bosco sia teatro d’insolenza e dei dispetti di quelle creaturine che, saran pur belle e luminose, ma tremendamente dispettose”

 

“Partirò presto, dovrò solo farmi venire un’idea per andar via di qui, da questo posto mesto. Senza ali e zampine come sono, dovrò trovare un passaggio verso terre sconosciute e remote, dove, finalmente, darò sfogo alla gran trasformazione in forme ignote”

 

Ma il Destino, che gioca spesso a nostro favore, stava per riservarle una sorpresa, miei cari ascoltatori! Accadde allora che, mentre la noce pensava e ripensava, ideava e si struggeva, d’un tratto, proprio davanti, le passò un tipetto davvero stano. immaginate quante creature poteva nascondere una foresta così grande, ogni giorno c’erano sorprese e qualcosa di strabiliante, ma poi, stimati amici, cosa significa esser strano? nel mondo vi sono svariate vite d’ogni forma, colore e foggia, tante quante i granelli della sabbia d’una spiaggia! anzi, che dico, tante quante son le stelle dell’universo, che è impossibile numerare pur contandole da ogni verso, nulla è strano, è solo diverso, come le stelle marine, i funghi o un alano o chi ha le ali al posto di una mano!!

 

Insomma, questo signore un po’ particolare passò davanti alla noce nostra con uno strano fare:

era un grande scarabeo dal manto nero ed occhi lucenti, due grosse antenne, e braccine possenti.

Trasportava a fatica una sfera grossa e puzzolente, indignando tutta la gente!

Pensate, trasportava una palla di puppù, vagando piano nella notte blu!

Si trattava dello scarabeo stercorario che della cacca d’altri animali faceva la propria casetta, ed esiste davvero questa magnifica creatura, che pulisce i boschi dai bisogni di ogni bestia di passaggio a spasso nella natura.

 

Lo scarabeo, scambiando la noce per sterco animale, decise di prenderne possesso e cominciò a farla rotolare,

Li per li la noce fu un poco offesa: “ecco, anche lui, senza volerlo per una cacca m’ha presa!”

 

Pensò poi che fosse l’occasione giusta per un passaggio, decise così di star zitta e mettersi in viaggio.

Aveva ancora qualche lacrimuccia mentre lasciava il prato, quando pian piano si sentì rotolare perdendo il fiato.

Lo bestiola, avendola scambiata per dello sterco decise di portarla con sé verso mete a noi ignote e sconosciute.

La luce della luna si faceva sempre più rada, si avvicinava alla boscaglia fitta in men che non si dica, si ritrovò quindi nel bosco buio ed impenetrabile, in cui il bubolare dei gufi e degli allocchi li rendeva vicini e spaventosi, in quella musica sinistra non vi era vento né tempesta, solo suoni e tanti grilli che sembravano fare festa.

 

Fu a quel punto che le apparve il dolce scorrere di un torrente. Le acque del ruscello si muovevano piano ed armoniose , ogni rospo vi si lanciava dalle rocce scivolose.

Con un piccolo sforzo rotolò nella corrente, tutta sola ed inesperta, lasciando l’autista scarabeo a bocca aperta.

In meno d’un minuto si ritrovò a nuotare.

La corrente del ruscello era forte, spingeva la noce sempre più distante, rotolando ed affondando procedeva rapidissima, urtando ad ogni roccia di quell’acqua blu e purissima, ogni tanto s’affacciava ad annaspare, faceva di tutto per non affogare.

 

“Ohi Ohi povera me, avrò fatto la scelta migliore?

o sarà tardi quando del sol risentirò il calore?”

 

La noce, sempre più confusa e spaventata, cominciò a pianger disperata, dubitando di questa idea bizzarra che aveva avuto!

 

“cosa ho fatto sciagurata! avanzando ad ogni metro sarà difficile tornare indietro”

 

La situazione si fece complessa, oramai il panico aveva preso il posto dell’entusiasmo e mentre pensava disperata a quanto mal si fosse procurata, una piccola onda la sbalzò sui tronchi degli alberi immensi, facendole perdere del tutto i sensi.

Fu così proiettata, come catapulta, in quel laghetto sereno nel cuor della foresta, tanto remoto ed imboscato che nessun uomo aveva mai visitato.

 

La noce poveretta dormiva per la botta, mentre sprofondava inerme nel fondo più profondo di quelle acque cristalline, che né la luna né il caro sole potevano illuminare, nascoste com’erano dalla fitta giungla di piante millenarie.

 

Successe però che mentre affondava rassegnata e dormiente, un colpo sulla schiena le risvegliasse la mente, ma non capì subito quel che accadeva!!

Aprì gli occhietti appannati dall’acqua e vide nel fondo quel che non immaginava, mai avrebbe pensato potesse esistere una creatura tanto bella, enorme e brillante come quella.

Dagli abissi più bui apparve sereno il gran delfino, che lì in fondo a quel lago aveva casa e pure svago!

 Era davvero gigantesco e solitario, grande quanto un palazzo di tre piani, od un teatro col suo sipario. solamente l’occhio aveva le dimensioni d’un tavolo tondo e la pelle liscia d’un rosa acceso e sfavillante, sembrava seta elegante, vagava lentissimo e con grande dolcezza eppur con magica destrezza.

Prese dunque a giocare delicato con la noce, facendola saltare e ruotare sul becco tondeggiante, poi, d’improvviso la inghiottì in quel muso così grande!

La noce pensò davvero che quella fosse la fine, mentre rotolava rassegnata nella gola del delfino, tra i dentini aguzzi e una lingua lunga come un trenino.

 

Mentre pensava che il peggio fosse arrivato, sentì una pressione potente ed improvvisa spingerle la rugosa corazza già provata, come un getto inaspettato ed impossibile da gestire, come una mano potente che con la spinta ci faccia volare, in pochi secondi dall’acqua fresca, per aria si trovò a vagare, volando come fosse un gabbiano od un falco di pianura, come fosse una farfalla vivace od un pipistrello addirittura!

 

“Phuaaaa!” che grande sputo

 

 Il delfino l’aveva fatta rotolare un po’ tra i denti, senza farle male, poi l’aveva sputata energicamente, la noce aveva preso il volo, e dopo aver percorso centinaia di metri, sbattuta tra le chiome degli alberi, cadde fradicia su un tiepido giaciglio di foglie secche, terra umida e funghi variopinti. Stordita e stremata aprì gli occhietti scuri e notò che le scorrevano accanto alcuni rivoli d’acqua lenta. Sembrava seguissero tutti lo stesso tragitto: il tragitto fino al fiume più grande, che si riversa nel lago e lo rende imponente.

 

Sarà per l’emozione d’una notte speciale, folle e movimentata, sarà per gli sbalzi tra gli alberi e gli urti sui rami, sarà forse per l’acqua fredda sul pancino o per aver troppo rotolato (rispetto alle abitudini quotidiane fatte di terra e sonnellini) sarà per tutto questo messo insieme che la noce quella notte si sentì per nulla bene, avvertiva dolori ovunque e letteralmente, come si dice quando arriva la febbre alta, si sentiva tutta rotta, respirava male ed a fatica, starnutiva spesso e si torceva, e mentre cercava di riposare per pensare a cosa fare, ovvero se trovare un passaggio o fare di quel giaciglio nuovo la propria dimora, fu solo allora che vide una crepa farsi strada su tutto il guscio, mentre restava tra l’erba e la rugiada!

 

“caspiterina mi son proprio rotta! Non ho aspirina per questa botta!”

 

E mentre piangiucchiava per il dolore vedeva la crepa aprirsi fino al cuore!

 

“oh no, starò forse per morire! Devo restar qui o sarà meglio ripartire?”

 

E mentre s’impegnava in qualche idea, accadde quel che mai s’immaginava:

Uno spacco talmente grande le si aprì dal volto al petto, lì temette non avrebbe retto, pensò davvero di morire, non fu più in grado di respirare ma solamente poté guardare!

 

Non temete miei cari spettatori, quel che accadde poi non fu un orrore, anzi, successe un fatto meraviglioso, un fatto magico di Madre Natura, di cui la magia

da millenni perdura!

 

Una bianca linguetta si faceva strada dal guscio cercando qualcosa dal suo interno fino all’uscio.

Cresceva a dismisura torcendosi nella notte scura, portava la noce dietro di sé, ruotando ritmica verso il terreno, lasciando quel guscio non più pieno.

 

Spuntò un germoglio da quella che ieri fu una noce sconsolata, un germoglio verde di una pianta delicata, cercava la luce tra gli alberi immensi, cercava spiragli verso il cielo in quell’aria fatata, facendosi largo in quella notte stellata.

 

Riaprì gli occhi allo zirlo d’un tordo, scoprendo che essere noce era solo un ricordo.

Man mano che il buio lasciava spazio alla luce del giorno sentiva il bisogno di crescere sempre più in alto, voleva dirigersi verso il sole, lasciando ogni animale senza parole!

 

“non so proprio che sia successo so solo che son alta più d’un cipresso e devo dire che mi piace, questa forma mia di adesso, possente ed audace!”

 

Fu contenta la noce di esser diventata pianta grande e rigogliosa, era ormai stufa di quella condizione pigra di noce immobile e legnosa! La noce che insultavano tutti una volta, adesso era un albero dalla chioma folta!

Stava conquistando l’altezza ed il cielo, il primo sole al mattino era suo, ed anche la pallida luce lunare di quel clima tropicale!

 nel bosco cresceva a dismisura: adesso di nessuno più aveva paura!

 

Il sole saliva, mentre le stelle s’addormentavano piano lasciando spazio alla luce del giorno, le piccole foglioline spuntatele sullo stelo crescevano di ora in ora, stava adesso diventando una regina della Flora.

 

Mie cari spettatori, so che un po’, in cuor vostro vi manca quella noce, ma adesso che ha la forma di una splendida pianta, non è più triste e se ne vanta!

Nei giorni che seguirono crebbe rigogliosa: le radici si fecero salde al terreno umido, l’acqua dei ruscelli alimentava la sua sete ed il sole rendeva brillanti le foglie lunghe come comete.

 

Un tardo pomeriggio, di quelli torridi equatoriali, vide spuntare dalla base delle proprie foglie delle sfere d’un blu acceso, tanto luminose da lasciar ogni animale sorpreso!

 

Accadde quella notte che le piccole sfere s’ingrandirono a dismisura, diventando grandi come more e d’un tratto trasformandosi ognuna in uno splendido fiore. tutte insieme, perché insieme abitavano la pianta. Fiori splendidi, miei cari uditori, ognuno dei quali proteso all’aria con cinque petali azzurri, la base bianca e disegni bizzarri.

 Tra i petali, come uno scettro, cresceva una proboscide giallo limone, spugnosa e sottile come un airone.

 Infiorescenze speciali di cui la pianta andava fiera, spargevano intorno un profumo di primavera.

 Tutti ne erano attratti: falene, farfalle e pipistrelli ne andavano matti, perché oltre all’odore di meraviglia avevano il gusto della vaniglia!

 

Quella che ieri era una noce piccola, triste e solitaria, era oggi una pianta rigogliosa protesa nell’aria, dai fiori stupendi e la polpa squisita che da ogni bestiola era amata ed ambita!

 

La pianta o meglio la pianta che fu noce, si slanciava fiera nella foresta ed intorno tutti le facevano festa

Una notte, particolarmente stellata e luminosa, accade un fatto che stravolse ogni cosa.

Mentre si gongolava nella propria bellezza vide accendersi le foglie di una nuova lucentezza, era la lucciola impertinente che, vedendo quel fiorire straordinario, decise di farsene una casa fuori dall’ordinario.

 

LUCCIOLA    “che meraviglia, che profumo e che bellezza, saran questi fiori speciali ad essere ogni notte la mia casa e la mia fortezza!”

 

E così fu che la lucciola e le sue amichine vi dimorarono quella sera, rendendo i fiori splendide lampadine!

Immaginate che spettacolo poteva essere, cari spettatori, per uno che arrivava nel bosco dal di fuori:

vedendo cotanto splendore ogni passante vi lasciava il cuore.

Tuttavia la pianta, che ricordava ancora l’infanzia di dispetti subiti quand’era noce, decise che ai propri rancori doveva dar voce, e mentre dormivan beate le luccioline le sputò fuori come palline, facendole rotolare e sul terreno ricadere!

Queste, sorprese ed infreddolite si radunarono incredule sotto il fusto, chiedendo piangenti il motivo di quell’atto ingiusto

 

EX NOCE_PIANTA  “Mie care luccioline, ricordate di quando eravamo bambine?”

 

LUCCIOLA    “mia cara pianta non rammento, non riconosco nemmeno il tuo accento, è la prima volta che ci vediamo, perché di piante tanto belle, qui intorno non ne abbiamo”

 

EX NOCE_PIANTA   “lucciolina mia cara ti devo contraddire, io fui quella noce che sembrava marcire, ridevate di me ogni sera e questa è storia vera! Di me vi burlavate, io piangevo e voi via volavate, rimanevo sola e sconsolata, di voi mai nessuna m’ha aiutata”

 

La lucciola impertinente, al sentir quelle parole, ebbe un fremito di stupore, e nel piccolo petto luminoso senti forte un imbarazzo doloroso

 

LUCCIOLA  “mi dispiace cara mia amica, non sapevo che la mia insolenza ti avesse causato ‘sta sofferenza, non certo merito d’abitar tra i tuoi fiori, vado via triste miei cari signori”

Spense il suo addome luminoso e salutando tutti quelli che si erano fermati a guardare, mogia e sconsolata decise d’emigrare!

 

EX NOCE_PIANTA   “vieni qui, dove pensi di andare? tutta sola nella notte vuoi vagare? ogni bestia ed uccellino farà di te un bocconcino! Hai bisogno d’una casetta, tra i miei fiori sarà perfetta!”

LUCCIOLA  “Ma come? Fui dispettosa con te ogni sera e tu mi offri il meglio in cui ognuno spera?”

 

EX NOCE_PIANTA  “Si mia nuova amica, non son più tanto arrabbiata perché adesso sei cambiata, vieni pure tra i miei fiori, da domani con occhi nuovi guarderai gli altrui dolori, non prenderai più in giro nessuno, mai più, nessuno al mondo, ed insieme faremo un girotondo, tu sei lucciola ed io fui seme, siam più belli se stiamo insieme.

E ricorda compagna mia, che tu sia giallo, nero o blu, che tu sia piatto lungo o tondo hai dentro di te la bellezza del mondo. Nessuna tristezza se ci fan dei dispetti, in qualche maniera siam sempre perfetti!”

Nessuno può dire si è brutti o si è belli, siamo tutti diversi come acquerelli, nessuno può dire è sbagliato od è giusto siamo tutti diversi, ognuno ha il suo gusto!”

 

Da quel momento la pianta di noce dai fiori azzurri e profumati e la lucciola gentile che fu impertinente, divennero amiche di tutta la gente, divennero amiche per la pelle ed è il caso di dire per le ali e le foglie. crebbero in tante, folte e rigogliose, quelle piante ospitali, ricche e gioiose.

L’isola di Gongola divenne un luogo felice, pieno di amore e di rispetto, ovunque, dal prato al bosco finanche al laghetto!

Non sappiamo cari miei se questa è storia vera, sappiamo solo che ognuno è bello alla sua maniera.

 

Michele Ardito

17/02/2020

 

 

 

 

 

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